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Merzouga Tours

BIJA, Bella perché le va

Sogni e speranze nella Valle del Boutarghar

I NOMADI DELLE GROTTE NELLA VALLE DEL BOUTARGHAR (MAROCCO)

 

(⏳ Tempo lettura 3 minuti e 35 secondi)

 

E’ giugno quando decidiamo – io e 3 compagni di ventura – di ripercorrere la Valle del Boutarghar.

Per me e Amar è un’esperienza già vissuta, ma non meno affascinante.

Siamo nel mezzo, tra la Valle del Dades e la Valle delle Rose, in un territorio nascosto tra splendide montagne e una natura immensa.

La temperatura diurna è piuttosto elevata, si avvicina ai 40 gradi, ma ci accompagna un vento leggero che rende piacevole la nostra camminata in una distesa di montagne e rododendri.

IL PAESAGGIO DEL BOUTARGHAR

 

I rododendri sono così rigogliosi, i colori accesi, che da qualche parte l’acqua dovrà pur esserci, anche se intorno a noi tutto sembra secco, brullo, in attesa di tempi migliori.

La vallata si snoda tra ampi pianori, le curve del letto del ruscello e le montagne che la proteggono.

La nostra jeep si muove lentamente, il terreno è naturalmente sconnesso, e incrociamo un primo insediamento nomade: da un lato la casa nella roccia e poco più in là è montata una tenda.

Decidiamo di proseguire per andare a far visita ad un’altra famiglia.

Bija (diciamo che si scrive così) ci vede arrivare da lontano e ci aspetta.

Sapendo di questa visita, prima di partire, abbiamo acquistato dei “viveri”, da portare in dono a questa famiglia nomade (alimenti di prima necessità, come lo zucchero e il sale).

La famiglia di Bija ha scelto volontariamente di vivere nelle grotte, dove i comfort sono quanto di più lontano esista al mondo.

Quante siano esattamente queste famiglie, non è dato saperlo, per motivi “politici”, ma si stima siano circa 180 in tutto il territorio.

LE GROTTE DEL BOUTARGHAR

 

Salutiamo e timidamente entriamo nella loro “casa” composta da 3 spazi (3 grotte): nella prima, è presente la “cucina”, o meglio, un forno dove cucinano sopra la pietra; la seconda grotta, è quella della “famiglia”: si prende un the alla menta, si chiacchiera, ci si stende per riposarsi; la terza grotta contiene tutte le valigie dove sono riposti tutti gli averi della famiglia e immaginiamo dormano in questo piccolo spazio.

Le grotte vengono illuminate attraverso un pannello solare dalla capacità davvero ridotta; questo pannello va ad alimentare una batteria (quella delle auto per intenderci), che serve a produrre energia elettrica quando il minuscolo pannello solare smette di funzionare per via del buio.

Il pannello è frutto della donazione di una associazione, proviene dal progetto Noor, la Centrale solare di Ouarzazate, ma nessuno si preoccupa della manutenzione e che tutto funzioni correttamente …

Infatti la batteria è scarica, e hanno bisogno di una batteria nuova.

Questo fatto scuote il nostro spirito da “crocerossini”, vorremmo comprarla subito la batteria, ma non è semplice trovarla al villaggio, parte quindi il tam-tam tra gli autisti affinché venga cercato quel modello esatto di batteria e il primo che passerà a casa di Bija, cambierà la batteria … Viva la tecnologia, Santo il Gruppo whatsapp.

Quando si dice “essere appesi ad un filo”: proviamo ad immaginarci senza luce, senza frigo, senza gli agi minimi a cui siamo abituati. Tutto ci sembra davvero impossibile.

LA FAMIGLIA

 

Ma torniamo alla famiglia: è un gruppo “allargato”, nel senso che sono presenti più membri con vari gradi di parentela, ma durante il giorno gli uomini sono fuori per pascolare le capre e le pecore; noi troviamo soltanto Bija e la sua mamma.

Bija potrebbe avere 20/21 anni: ha un sorriso aperto, ci osserva continuamente, fissandomi mentre la guardo, non molla un secondo; se però la guarda un uomo abbassa gli occhi.

Di tutta questa “confusione” a chiamare la mia attenzione è la scelta di farsi belle, comunque: Bija e la sua mamma hanno le unghie dipinte con l’henna … stabilisco arbitrariamente che lo facciano per vezzo ?

La sua mamma ha anche gli occhi truccati con il Kajal, perché protegge dal sole e dalla polvere e al contempo dona profondità agli occhi.
Indossa dei monili: grandi bracciali di argento che la mamma sposta per alzare le maniche.

Compie diversi gesti che sono tipici della vanità femminile, ma chissà perché mi stupiscono in questo contesto.

Mentre beviamo uno degli innumerevoli the alla menta, distolgo la curiosità dalla loro “vanità” (che è anche la mia) e domando come trascorrono il loro tempo.

LO SCORRERE DELLE GIORNATE

 

Le giornate sono scandite non da un orologio, ma dalle luci e dalle ombre:

– La sveglia al mattino corrisponde con l’alba;

– Quando non c’è ombra, perché il sole è perpendicolare alla terra, è l’ora del pranzo;

– 1 volta di ombra (oddio come faccio a semplificare questo concetto, vediamo … un’ombra normale, non allungata): l’ora della merenda

– 2 volte e mezza l’ombra, è ora di tornare a casa.

La ricchezza della famiglia consiste nella proprietà delle capre e delle pecore; tra berberi si dice che non si debba raccontare quanti animali si posseggono, ma noi un numero lo abbiamo appreso, più vicino a 100 che a 50 ? ma lo teniamo per noi per serbare il loro segreto.

RIFLESSIONI

 

Abbiamo concluso questa visita che, volutamente, non è stata veloce; tra di noi ci guardavamo con sguardo interrogativo: domande che da qualche giorno girano nella nostra testa.

– E’ giusto invadere gli spazi privati?
– E’ gradita la nostra visita?
– E’ utile la nostra presenza, o trasformiamo tutto in un circo mediatico?
– In che modo la nostra cultura può essere di aiuto alla loro scelta di vita?

E ancora:

– Perché scegliere di vivere in isolamento, nella difficoltà, quando a pochi chilometri c’è un villaggio?

Inutile dirlo, tutte domande che sono rimaste senza risposta; ognuno di noi ha espresso il proprio pensiero, ma una risposta univoca non l’abbiamo trovata.

L’unica risposta plausibile, è il rispetto nei confronti di chi ci apre la propria casa e il confronto con la nostra coscienza.

Salutiamo, Bija corre di nuovo alla jeep, questa volta ci guarda mentre andiamo via. Dal finestrino oscurato vedo che si mordicchia le dita, vorrei scendere di nuovo ad abbracciarla, sento pena nel lasciarla sola.

Cosa sogna, cosa pensa? Non lo sapremo mai. Quale sarà il suo futuro? Lo scopriremo andando a trovarla ancora 🙂

Ma è ora di ripartire e dopo pochi istanti, da una collina più in là, vediamo correre dei patuffoli, prima i bimbi più grandi, dietro quelli piccoli che arrancano e saltellano sulle rocce … jeep = dolcetti … spalancano gli occhioni per ringraziarci.

Che magone, ma trattengo l’emozione per non mostrare debolezza … ma questo è un altro racconto.

Antonella

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